La teatralità nel nostro istituto
SCUOLA DI TEATRO ALLA SCUOLA MAZZINI
TEATRO E’ SPETTACOLO DAL VIVO di Enrica Origo
Da attrice di teatro e cinema (e questo fa colpo, o fa malinconia, vedete voi), ma anche da maestra, imprestata alla scuola da più di vent’anni, sperimento quotidianamente con il mio pubblico di bambini la peculiarità del teatro che è unicamente e imprescindibilmente rappresentazione dal vivo. Il teatro è consapevolezza che la vita è una recita e che il mondo è un palcoscenico. Ce lo ricorda magistralmente Shakespeare, ma, umilmente, lo leggo nel fare dei piccoli, sempre pronti, senza la minima esitazione, ad immaginare consapevolmente di essere altro da sé, altrove nello spazio e nel tempo. Questo è bellissimo e rigenerante per un adulto che si ostina a non accettare il noiosissimo gioco delle parti nella vita reale, ma ama invece giocare sapendo di giocare. Contrariamente a ciò che alcuni pensano, e mi ritrovo a contraddire addirittura un grande maestro di teatro come Eugenio Barba che pochi giorni fa ho ascoltato a Sori dire che “recitare per i bambini è la cosa più difficile” perché i bambini non riescono a staccarsi dal pensiero reale ( “ i miei figli mi chiedevano che cosa facessi con quel calzino infilato nella mano quando volevo dar l’immagine di un serpente…”), ho sperimentato invece che la disposizione a credere all’impossibile è predominante nel bambino.
Il giorno dopo l’incontro pubblico con Barba, ho fatto il seguente esperimento a mensa. “Drin , drin! ” e raccolgo dal tavolo una forchetta portandola all’orecchio. Parlo nella forchetta e poi chiudo la conversazione posandola al suo posto. I bambini smettono di parlare, come invece fanno di norma a tavola disordinatamente a contemporaneamente, e mi guardano silenziosi, in attesa. Per me quel silenzio e quell’attesa sono meravigliosi. Perché è in quell’attimo che il teatro entra prepotentemente, come un dio, nella banalità del caos. Il teatro è in quel silenzio, in quello scambio tra attore e spettatore. Perché il teatro lo fanno dal vivo gli attori insieme agli spettatori. Senza questi ultimi è impossibile. Se non c’è questo scambio vivo di attese non c’è teatro. Nel cinema invece il momento rappresentativo viene registrato tecnologicamente per essere canalizzato in uno schermo e posticipato “altrove” per un pubblico “altro”, del quale paradossalmente può far parte la stessa persona che ha recitato per quello schermo: allora cadono le categorie spazio temporali del “qui ed ora” e insieme ad esse cade il contatto diretto tra attore e pubblico, facendo cadere la possibilità di incontrarsi attraverso l’azione scenica. Cade dunque il teatro. Questo è l’insegnamento di Grotowski. Ritorno dunque su questa differenza: il teatro non è il cinema, non è la televisione non è il social, non è un video, non è facebook. Non esiste una disciplina cinema-teatro, come non esiste teatro-televisione, o radio-teatro. Esistono , o esistevano, i radiodrammi, ma nulla avevano a che fare con il teatro: infatti si chiamavano “drammi”. Al di là del puro divertimento nel fare un gioco di abbinamenti a caso, come, che so: agronomia-teatro, igiene- teatro, ginnastica-teatro, culinaria-teatro, relazioni internazionali-teatro, economia domestica-teatro, o più modernamente informatica-teatro, coding-teatro, snorkeling-teatro, bird-watching-teatro ecc… e chi più ne ha più ne metta per puro ozioso divertimento surrealista, il senso del teatro, dobbiamo ricercarlo nella sua unicità. Il teatro è solo teatro. E da lì si parte. Si continua e non si finisce mai, poiché il teatro è la ricerca di un ritorno impossibile.
Per quanto riguarda il valore formativo del teatro, secondo me, il momento dell’incontro con l’altro in scena a diretto contatto con il pubblico, è un momento altamente formativo e insostituibile per un bambino che cresce. Certo perché questo sia tale, occorre che ci siano da parte sua totale partecipazione e divertimento e che il teatro non sia confuso con un obbligo imposto dall’alto come in certe recite che mostrano bambini “malinconicissimi”, come diceva Sergio Tofano.
Come finisce l’esperimento? Ai sei bambini curiosi, e incantati più che davanti ad un video gioco di ammazzamenti, chiedo, riprendendo in mano la forchetta: “Che cos’è?”. “Una forchetta” mi rispondono in due. ”Un telefono “ mi rispondono in quattro”. Viva la democrazia. E viva il teatro